Page 9 - Milano Periferia
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QUEL MONDO

 La periferia, come metafora dell’ " indefinito e del "vago" (per usare i
due famosi termini leopardiani) applicata alla città, corpo vivente che
allenta nel crescere il suo volume e il suo spazio, quasi estenuato da
troppo febbrile turgore centripeto, evoca in me della generazione tra le
due guerre, un mondo non privo di qualche estetico compiacimento a
seguire il contrappunto della memoria trafitta dal brivido d’un "quel"
ma subito riportato per contro a un suo storico contenuto, a un significato
denso di aspetti umani e ideologici.

La suburbana poesia un po’ rarefatta e decadente, accordata sui versi di
Prévert o, nei colori, sull’eterno Montmartre (che qui era bovisasco) e
sulle casipole di Utrillo, specchiate come quinte tremolanti su vie chiuse
e sospese in un tempo senza fine, o assordate dalle risse dei ragazzi della
Via Pal, assidua lettura, - o biondo Nemecsek, che uscivi dalle tue porte
Scee, colunnate di assi, per incontrare Mirmidoni diversi da quelli del
cieco vate di Chio, non ti ho mai dimenticato! - si riempie, tosto che mi
ci soffermo col pensiero sorvegliante l’assalto di nostalgie solinghe e os-
sessive, d’una "realtà culturale" singolarmente caratterizzata un tempo,
riducibile a particolari ben tipici e sempre ricorrenti, non che d’un am-
biente perfettamente filtrato e coerente nella sua lenta osmosi fra interno
ed esterno, fra natura e città, fra dialetto e società, fra mestiere e popolo.

Non dispiaccia, specialmente ai giovani tesi al rigore razionale e alla
sociologica analisi, se io per un solo momento m’abbandono a riesumare
quei confini che segnavano una specie di sosta nell’urbanistico cammino,
un ordine sparso, un rompete le righe nelle case avviate ormai all’abbrivo
dei prati e degli alberi o ai fumiganti canali pattinati dalle anatre. Mai del
tutto stabiliti, quei confini ammettevano una sorta di misura dello spirito,
ancora indenne da traumi, un pretesto d’esperienze inusitate, quasi che
il "periferico" avesse da coincidere a un tratto con l’area misteriosa dei
desideri repressi, che così trovavano improvvisamente uno spazio sopra
di sè, dove poter squillare d’una libertà quasi gioiosa.

Tutt’altro che semplice evasione, il sortire dalla cerchia dove quotidiana-
mente si muore, era caricarsi di nuovo sangue, strappare all’esistenza un
suo più acuto sapore, sbloccandone la dialettica, e insieme respirare
un’aria insolita più mossa dal sentimento del distacco e del transeunte.

Non più "figli di mammà", con addosso il tepore delle stanze accoglienti
e l’usura affettuosa dell’andirivieni quotidiano nel chiuso dei soliti angoli,

Via finalmente! Via ad incontrare i cani randagi lungo vie anonime battute
da mezzogiorni di fuoco e corse da lunghe ombre deserte, le osterie semi-
buie traversate da canti, da odori e da sudori di manovali e artigiani, le
pergole distese sopra bocciofile immerse nell’oblio d’un ludus cesellato
e serissimo tra moccoli e sfottimenti di volgo, gli orti reclusi da staccio-
nate o siepaie, le cascine di laterizio rosso con i grandi portoni aperti e
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