I primi studi fotografici di Milano ebbero sede in una centralissima e ristretta zona della citta': dal "Coperto del Figini", complesso sul fronte settentrionale della Piazza del Duomo abbattuto per dare spazio al sagrato, alla "Corsia dei Servi", poi diventato in epoca austriaca "Corso Francesco" e quindi C.so Vittorio Emanuele, alla "Piazza Durini" che in seguito ha fatto posto alla Piazza San Babila.

"Alessandro Duroni, allievo di Monsieur Cauche di Parigi,ottico e fisico,tiene assortimento di tubi di vetro per istrumenti di metereologia, fisica e chimica, ec. Galleria De Cristoforis 26", cosi' si rileva dalla Guida di Milano (ed.Bernardoni 1839).

Ed e' dalla Galleria De Cristoforis che inizia la storia della fotografia a Milano. Duroni importa l'apparecchio di Daguerre ed esegue le prime vedute della citta'. Continua l'attivita' di ottico finche', intuite le potenzialita' economiche del nuovo mezzo, si trasferisce, verso il 1850, nella Corsia dei Servi diventando per lunghi anni il punto di riferimento per la realizzazione di quella che allora veniva definita "la memoria dello specchio", il dagerrotipo, lastra argentata che, impressionata dalla luce, produceva un' unica copia del soggetto ritratto. Per vari anni e' l'unico "Fotografo e Dagherrotipista" presente negli Annuari della Citta' di Milano.

Il dagherrotipista e' ancora considerato un po' scienziato e un po' stregone. Soltanto qualche anno piu' tardi compariranno altri concorrenti quasi tutti provenienti dal mondo delle arti: pittori e miniaturisti che sentono la nuova invenzione come un' insidia alla loro attivita'. E' senz'altro un fatto positivo in quanto essi apportano il loro talento artistico in una nuova disciplina che si fonda sulla sperimentazione scientifica e sul mezzo tecnico.

Verso il 1860 aprono i loro "atelier" Francesco Citterio, Luigi Sacchi, G.B. Silo, Achille Tettamanzi e Antonio Zelbi. Eseguono "anche" ritratti ad olio, all'acquerello, miniature, ma li propongono come alternativa al ritratto fotografico: il nuovo mezzo viene ormai considerato come la maggiore fonte di reddito. Le carrozze degli aristocratici fanno sosta in via Bigli, in piazza del Carmine, in via Bagutta ed in Contrada dei Nobili, attendono i padroni che sono andati a mettersi in posa dal fotografo.

Solo verso il 1890 superano la "Cerchia dei Navigli" per spingersi fino ai "Bastioni": corso Magenta, corso Venezia, corso San Celso (attuale corso Italia), corso Garibaldi, corso Romana accolgono un sempre maggior numero di fotografi che ribattezzano la loro attivita' adeguandone la qualifica ai quartieri piu' popolari, non piu' "Atelier Fotografico" ma "Studio Fotografico".

Si moltiplicano le succursali: i pionieri del centro aprono altre sedi decentrate pronte a soddisfare le esigenze di una classe periferica emergente: i piccolo-borghesi e i nuovi inurbati.

Col nuovo secolo viene superata la Cerchia dei Bastioni: i vecchi "ateliers", divenuti "studi" vengono molto spesso ribattezzati "Stabilimenti fotografici". Assumono dimensioni industriali e perdono quel fascino aristocratico di cui erano circondati.
Incomincia l'era della fotografia di massa, fatta da professionisti e da dilettanti, da esperti e da pasticcioni. Il retro delle foto non e' piu' decorato dai fregi reali o dai premi internazionali. Un semplice timbro ad inchiostro, molto spesso messo di sghembo, serve soltanto a ricordare l'indirizzo del fotografo per le eventuali ristampe.


© Nino Lumbau